mercoledì 25 aprile 2012

Un sogno... un incubo... agghiacciante come una sinistra premonizione

Vorrei descrivere un sogno che ebbi ormai oltre sette anni fa, ma che penso si stia realizzando - purtroppo - almeno per quanto riguarda una parte dell'interpretazione del suo significato simbolico.


Dopo un breve sonno, mi svegliai nel cuore della notte e mi misi a sedere sul letto. Stavo per alzarmi perché volevo andare in bagno a bere un po' d'acqua dal rubinetto, quando udii "una voce". Era una voce neutra, né maschile né femminile, e la fonte della voce si trovava circa dietro la mia spalla destra. La voce mi disse di tornare a dormire. Meravigliata dall'inattesa comunicazione, ma dato che in quei giorni stavo pregando il mio Angelo, il mio spirito amico, decisi di "credere" e di obbedire a quella percezione, e mi stesi nuovamente a letto, tirandomi su lenzuola e coperte fino al naso. Poco dopo sentii che il sonno mi prendeva di nuovo e mi addormentai.

Sognai me stessa. Rientravo in Italia dopo un periodo trascorso all'estero e qualcuno veniva a prendermi all'aeroporto.

La casa di famiglia era quella di sempre, piena di oggetti e di libri. Ero felice di essere tornata nel Paese dove sono cresciuta, ma mi resi subito conto che l'atmosfera in casa era tesa, che qualcosa non andava per il verso giusto. Amici, parenti e vicini di casa erano venuti a salutarmi: sapevano del mio ritorno e io ero stata via per molto tempo. Tutti mi sorridevano e mi facevano domande e complimenti, ma la loro allegria aveva una nota stonata. Sul volto di tutti era steso un sottile velo di inquietudine.

Ad un certo punto, un rumore molto forte squarciò l'aria: l'ululato di una sirena. Una bambina presente nella stanza, la figlia di qualcuno di coloro che erano venuti a salutarmi, nell'udire il suono della sirena corse a rifugiarsi sotto il tavolo. Gli altri invece fingevano di rimanere calmi, con l'aria di chi a certe cose si è già abituato.

Per me quella era una novità assoluta, così corsi fuori, sul terrazzo, per guardare cosa stava succedendo. La sirena era installata sopra un furgone  e ve ne era una anche sopra un'automobile che lo precedeva. Entrambi i veicoli erano bianchi e sembravano mezzi per uso sanitario o ambientale (profilassi e roba del genere, i veicoli in dotazione alle ULSS). Le automobili che circolavano si spostarono ai lati della strada, lasciandola sgombra nel mezzo e molte di esse si fermarono per parcheggiare il più possibile lontano dalla strada. Anche il furgone bianco si fermò, ma in mezzo alla carreggiata ormai libera da altri veicoli. Ne uscirono due uomini tutti vestiti, da capo a piedi, con una tuta bianca.

Gli uomini, che erano anche muniti di guanti e di una mascherina, aprirono le porte del furgone ed incominciarono ad estrarre da esso, prendendoli tra le mani, molti esemplari di uccelli. C'erano piccioni, gabbiani, e altri pennuti. Gli uomini prendevano in mano gli uccelli e li disponevano sulla strada, in modo ordinato, gli uni accanto agli altri. Notai allora che tutti quegli uccelli erano malconci: alcuni feriti, altri denutriti, altri malati e spennati, ciechi o privi di un'ala o di una zampa.
Non potevano scappare, non potevano volare via e rimanevano sulla strada, più o meno nella posizione in cui gli uomini li avevano deposti.

Quando i due operatori vestiti di bianco ebbero terminato di disporre ordinatamente gli uccelli sulla strada, risalirono a bordo del furgono, che si spostò qualche metro più avanti. Giunse allora un altro mezzo di traporto: era una specie di rullo compressore molto grande. Il rullo non si fermò di fronte alla schiera di uccelli distesi sull'asfalto, ma li schiacciò senza pietà. Mano a mano che il rullo si avvicinava e li schiacciava, gli uccelli tentavano di spostarsi, di fuggire, e gridavano, gridavano in un modo disperato, agghiacciante. Dove il rullo era passato, molti uccelli erano morti e pochi erano riusciti a scansarsi di lato ed evitare di finire schiacciati.  La strada era ricoperta di sangue e di resti di piume.

Alla vista di quel massacro, mi sentii gelare il sangue. Ero incredula e sgomenta. Tornai allora in casa: le persone presenti nella stanza, che io conoscevo e che pure dovevano avere udito le urla degli uccelli barbaramente uccisi, continuavano a fingere indifferenza e autocontrollo. La bambina, ancora sotto il tavolo, si era tappata le orecchie con le mani mentre inutilmente una donna - sua madre suppongo - cercava di convincerla a lasciare il suo "rifugio".

- Ma cosa sta succedendo? Cos'è tutto questo? -. Chiedevo io in modo concitato, ma nessuno mi rispondeva. Allora mi diressi verso la porta di casa per uscire e raggiungere la strada. Qualcuno cercò di trattenermi, ma io mi misi a correre e raggiunsi rapidamente il luogo della strage degli uccelli. Vidi che il furgone con a bordo i due uomini che avevano portato le vittime di quella carneficina era ancora parcheggiato e così mi misi a battere contro il finestrino. Uno dei due operatori con la tuta bianca uscì e io gli afferrai il polso gridando: - Ma perché fate questo agli uccelli? -.
Allora lui, che era un bell'uomo sulla quarantina con gli occhi azzurri, mi guardò stupito e rispose:

- Quali uccelli, signorina? -.

Allora io mi voltai verso i corpi martoriati di quegli animali e vidi con orrore che quei corpi, prima così simili a quelli di uccelli di vario tipo, prendevano forme umane. Non erano uccelli, erano persone. Persone anziane, malati, disabili, barboni, poveri, drogati, emarginati, immigrati.
Giacevano quasi tutti in una pozza di sangue, e chi non era morto era praticamente agonizzante. Alle grida disperate di chi veniva ucciso, seguivano rantoli e lamenti dei sopravvissuti. Il tutto sotto lo sguardo impassibile, gelido, di quegli "operatori di igiene".

- Signorina, si allontani per cortesia -. Mi disse l'uomo e io mi allontanai di alcuni passi verso il ciglio della strada.

Dal macchinario con il rullo scesero altri due operatori che avevano il compito di rimuovere i corpi. Lavoravano in fretta, come se avessero svolto quel compito molte volte, come fosse un lavoro di routine. Tanto i morti quanto gli agonizzanti superstiti furono caricati nuovamente sul furgone, che ripartì tornando indietro da dove era venuto, preceduto dall'auto bianca che conteneva, penso io, degli "ispettori", dei "controllori".  

Dopo avere rimosso quella povera gente dalla strada, l'asfalto fu lavato con un getto d'acqua e poi anche il rullo ripartì, dietro al furgone.

Allora dalle case costruite ai margini della strada (quella strada e quelle abitazioni esistono veramente) uscirono i rispettivi abitanti che si affrettarono a finire di pulire la strada stessa, di modo che, di fronte all'ingresso delle loro abitazioni, non rimanessero tracce del massacro. Poi il traffico tornò normale, come se niente fosse mai accaduto.


E il sogno finì così.

Mi svegliai agitata, sudata, spaventata. Impiegai alcuni secondi a riprendere il contatto con la realtà, a capire che mi trovavo in camera mia, che tutto era tranquillo, che di un sogno si era trattato.
Eppure qualcosa dentro di me mi diceva che "non era solo un sogno", che le immagini che avevo visto erano in qualche modo ispirate. 

Compresi allora che le immagini del sogno erano simboliche: esse significavano la sofferenza di molte persone cosiddette "deboli" a livello sociale: anziani, poveri, emarginati, senza tetto, tossicodipendenti, disoccupati, malati senza risorse...

Compresi che il sogno rappresentava un periodo di grande sofferenza e senso di "schiacciamento" delle fasce deboli della popolazione, e un aumento di povertà.

Ebbi questo sogno nel 2005.

Penso fosse una sorta di premonizione in forma onirica del fatto che la crisi economica che sarebbe diventata più severa negli anni a venire avrebbe avuto/avrà come conseguenza, tra le altre cose, la sofferenza grande di molta "povera gente" che non avrà risorse per difendersi, per poter continuare a vivere in modo dignitoso.

Quello che fatico ad accettare però è l'indifferenza che, nel sogno, vedevo stampata sul volto di chi ancora conservava un livello minimo o anche discreto di benessere. Non c'era solidarietà, ma molti, troppi, avevano scelto di non guardare, di non intervenire, di rimanere nella loro nicchia, nel loro quieto vivere. Questo "dettaglio" io lo trovai più agghiacciante delle grida di quei poveri disperati che inizialmente mi erano apparsi in forma di uccelli, e che poi si rivelarono essere, fuori di metafora, esseri umani.

Sono passati anni da quel sogno, e lo ricordo tuttora, vivido e tremendo come una sinistra premonizione.

Non ho trovato nessuna immagine, né disegno che io riesca a realizzare a mano libera, per mostrare quello che ho visto in questo sogno: era troppo vivido e realistico perché io possa riprodurlo per un blog.