giovedì 26 aprile 2012

Percezioni E.S.P., percepire Presenze, Sentire le loro Voci, riuscire a Visualizzarle: tutto questo NON è sintomo di psicosi: conciliare il punto di vista della scienza medica con le autentiche esperienze di percezione extra sensoriale

Le persone che non sono recettive di natura, che sono chiuse a questo tipo di esperienza, che seguono ciechi vicoli di razionalismo anziché usare la Ragione, tendono ad etichettare qualsivoglia tipo di esperienza esuli dalle loro, o da quello che è stato loro ben ficcato in testa, come psicosi, come stati di allucinazione.

Nobisco pensa invece che etichettare come psicotiche le persone che, in un contesto di normalità, lucidità mentale e tranquillità esistenziale, fanno esperienze E.S.P. sia un atteggiamento superficiale, riduttivo, semplicisitico e... fondamentalmente anche malvagio.

Le parole chiave per dimostrare saggezza e maturità di fronte a queste istanze sono:

- calma e astensione dal giudizio
- riflessione e osservazione
- DISCERNIMENTO all'inerno della situazione di ciascun individuo, poiché ciascuno è diverso e unico, nessun caso è identico ad un altro (per quanto vi possano essere analogie) e generalizzare non porta a niente di buono o di veritiero.

 : dispercezioni ed allucinazioni uditive (a carattere imperativo, cioè sentirsi dare ordini, commentante il proprio comportamento o situazione di vita, denigratorio o anche teleologico, cioè tendente ad un fine ultimo), visive, olfattive, tattili, geusiche, cioè gustative, o di movimento. N.B: I sintomi della psicosi affliggono il pensiero nella sua forma e nel suo contenuto. In certi casi, riguardano anche la sensopercezione.
  • Disturbi di forma del pensiero: "fuga delle idee", incoerenza nelle idee, alterazioni dei nessi associativi.
  • Disturbi di contenuto del pensiero: ideazione delirante, interpretazioni azzardate e drastiche degli eventi e delle idee.
  • Disturbi della sensopercezione: allucinazioni visive, uditive, olfattive, tattiche, geusiche, di movimento.
Generalmente si parla di episodi di psicosi, anche di brevissima durata, o di episodi di scompenso, il che non introduce la persona che fa tale esperienza di sofferenza in una situazione di cronicità.

In altre parole, può capitare che una persona che, in un momento magari molto difficile e delicato della sua vita, si scompensi, ma quella povera persona non è "diventata una psicopatica"... ha solo avuto un attimo di scompenso (mia nonna diceva, molto elegantemente, un momento di défaillance), anche intenso, ma ciò non fa di quella persona un soggetto psicotico o psicopatico nel senso cronico del termine, e neppure nel senso patologico.
L'eccezione a questo può essere rappresentata da quel numero (si spera esiguo) di soggetti affetti da schizofrenia, gravi disturbi schizoaffettivi, paranoia cronica, gravi disturbi della personalità, lesioni cerebrali, alcuni tipi di patologie organiche.

Riferimenti bibliografici:
Dr. G. Invernizzi, Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica, McGraw Hill, 2006.
Dr.ssa C. Bressi, Dr G. Invernizzi, Psichiatria Clinica - Applicazioni in Medicina Generale, McGraw Hill, 2008.

Forse vi è, talvolta,  in certi contesti di diagnosi e cura, o da parte di alcuni medici, un'eccessiva tendenza a patologizzare atteggiamenti e comportamenti che sono di fatto transitori e trovano la loro ragion d'essere all'interno di contesti esistenziali, lavorativi, famigliari, in cui il soggetto è sottoposto a notevole tensione, stress, dispiacere, frustrazione, delusione, solitudine, rabbia, amarezza, disperazione.

Riporto un articolo/intervista dello psicologo A. Salvini che riguarda appunto la tendenza a patologizzare condizioni di disagio psichico di fatto transitorie e risolvibili, con danni anche seri al paziente, sia dal punto di vista medico (a causa di una somministrazione impropria, eccessiva e prolungata di sostanze psicotrope - psicofarmaci) che psicologico ed emotivo, andando a ledere l'autostima e la dignità del paziente stesso, cioè facendolo sentire lo psicopatico di turno che, di fatto, non è e non è mai stato.


Chi "sente le voci" non è necessariamente un soggetto malato. Il nuovo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali parla chiaro: avere allucinazioni uditive è del tutto normale per gli uomini. Il decano di psicologia clinica italiana, ordinario di psicologia a Padova e autore di numerosi testi sull'argomento Alessandro Salvini commenta con Affari: "La psichiatria ha sempre stigmatizzato questi fenomeni, considerandoli sintomo di psicosi. Da oggi invece, con il nuovo Dsm, non sarà più così: le allucinazioni uditive, le cosiddette voci, sono presenti, secondo i dati che la psichiatria accetta e fornisce su un range di popolazione normale che va dall'8 al 15%".


Svolta nella psichiatra dopo le pubblicazioni del noto medico Mario Maj. Chi "sente le voci" non è necessariamente un soggetto malato. Non solo. Avere allucinazioni uditive è del tutto normale per gli uomini. E' scritto nell'ultima revisione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali»), noto anche con l'acronimo DSM, uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella clinica che nella ricerca.
Così tutti quegli studiosi che per anni hanno sostenuto e studiato questo fenomeno (come Enrico Molinari, Maria Quarato e Cristina Contini del movimento Parlo con le voci) hanno vinto, ottenendo dalla comunità scientifica il riconoscimento di questo principio. "Finalmente la scienza si accorge che possono esserci allucinazioni in soggetti normali", commenta il decano di psicologia clinica italiana, ordinario di psicologia a Padova e autore di numerosi testi sull'argomento Alessandro Salvini. "Ho speso parte della mia vita a scrivere sulle allucinazioni in soggetti normali e accolgo con grande soddisfazione la dichiarazione del professor Mario Maj, che ammette che l'8-15 % della popolazione ha allucinazioni acustiche senza essere psicotico. Per anni sono stati stigmatizzati fenomeni che in molte persone sono naturali e che antropologicamente richiamano alle voci degli antichi padri ebraici e greci, da Platone a Mose, o anche Jung, che era anche lui uditore di voci per parlare della contemporaneità".
Che cosa significa in sintesi la pubblicazione del professor Maj?
"Significa che le allucinazioni uditive, le cosiddette voci, sono presenti, secondo i dati che anche oggi la Psichiatria accetta e fornisce (congresso Sopsi 2012) su un range di popolazione normale che va dall'8 al 15%. Secondo noi i dati sono ancora più alti, riferendosi a persone che, almeno una volta a settimana, sentono una voce".

In che senso questa "scoperta" può essere considerata rivoluzionaria?
"La psichiatria ha sempre stigmatizzato questi fenomeni, considerandoli sintomo di psicosi. Se è vero che le allucinazioni possono essere presenti nelle psicosi e in molte altre patologie (epilessie, tumori cerebrali, demenze) è altrettanto vero che l'udire voci, senza avere nessun altro sintomo, non ha rilevanza dal punto di vista patognonomico".

Quindi da oggi si considerano soggetti sani anche coloro che sentono le voci...
"Sì, la psichiatria internazionale oggi, con il nuovo Dsm, che uscirà a maggio del 2013, non considera più le voci come sintomo di primo rango e le ritiene finalmente insufficienti, da sole, per formulare una diagnosi di psicosi. Dai nostri studi all'Università di Padova abbiamo campionato centinaia di persone, uditrici di voci, non rilevando alcuna traccia di psicosi".

E allora da che cosa dipende questa sensazione che non ha un riscontro nella realtà?
"L'antropologia ci ha insegnato a capire che l'attitudine ad ascoltare voci è presente in ognuno di noi. Validi contributi sono stati forniti dallo studioso Julian Jaynes (" La mente bicamerale") e da altri grandi autori.
La storia, da Mose, a Gesù, a Buddha, ricordando le grandi religioni, sino ai giorni nostri, attraverso Jung o attori famosi come Anthony Hopkins o Penelope Cruz, ci insegna che l'udire voci è un'esperienza umana".

E scientificamente come si inquadra questro fenomeno?
"Di recente la psichiatria, che oggi ha accettato questo assunto, ha iniziato a parlare di una sindrome subclinica che si chiama psychotic like experience, che riguarderebbe il 20% degli adolescenti e l'8% delle persone e che presenta sintomatologie simili alle psicosi che, però, scompaiono nel 75-90% dei casi. Purtroppo, nonostante queste percentuali (e nonostante poche persone del gruppo rimanente transitino verso le psicosi) la psichiatria ritenta di patologizzare una situazione che considera, essa stessa, transitoria".




Alla luce di questa definizione medica (che ho riassunto per motivi di spazio e volontà di concisione) del quadro psicotico, come pure dell'intervista al medico, Nobisco e amici affermano con letizia che le percezioni E.S.P. da lorosperimentate non trovano alcun riscontro in tutto quanto la psichiatria al presente cerca di descrivere, diagnosticare e curare.

Dice Nobisco: "... quando le mie facoltà percettive si amplificano e capisco che sto per avere o che è in corso di svolgimento qualcosa che di fatto coinvolge la mia capacità intuitiva o anche, in altri casi, l'azione di entità eteriche, cioè spirituali, non organiche, io non perdo il contatto con la realtà. Non deliro. Rimango cosciente del luogo in cui mi trovo, di essere sempre io, e persino della posizione del mio corpo, del fatto di indossare dei vestiti, delle condizioni di sicurezza del luogo in cui mi trovo con il mio corpo fisico. Non esco dal corpo fisico, non ho questa sensazione (anche se mi è capitato un paio di volte, ma questo è un altro discorso, un altro tipo di esperienza).
La mia personalità resta integra. Non sono, le mie esperienza di dolore o di sofferenza, quasi mai. La maggior parte delle volte, mi lasciano nel cuore un profondo senso di gratitudine, e anche di indegnità, nel senso che sono spronata a lavorare su me stessa per diventare pià umile. L'umiltà, non la superbia o la vanagloria, è la disposizione che maggiormente predispone e aiuta una persona "scivolari tra i mondi", quello materico e quello eterico, riducendo al minimo i rischi. Va da sé che umiltà non è sinonimo di umiliazione, né di auto-avvilimento.
L'umiltà è l'apertura del cuore, è disposizione all'apprendimento, è astensione dal giudizio specie se negativo su qualcuno o su qualcosa e anche su noi stessi (non spetta a noi sputacchiare sentenze). Umiltà è anche affermazione serena del proprio pensiero, senza offendere, senza insultare, pur sapendo che non tutti, o pochi, saranno disposti a condividerlo.

Quando percepisco, ad esempio, la presenza di un corpo eterico vicino a me (non è necessario che io riesca a visualizzarlo), è come se il mio campo energetico e quello dell'entità in questione (dell'Anima di un defunto per esempio) entrassero in contatto. Se il contatto non è casuale, ma è deliberato, cioè da parte di quello spirito vi è la volontà di essere percepito da me, allora noto che l'entità cerca di aiutarmi perché il contatto sia mantenuto il tempo necessario per la comunicazione che intende farmi. Laddove io non sono più in grado di rimanere recettiva nei suoi confronti, lo spirito - l'Anima in questione - cerca di venirmi incontro, di supplire, se può, a questo mio limite percettivo.

Se invece il contatto è indesiderato, e io lo percepisco come un attacco, sta a me attivare comportamenti di difesa di vario tipo, a seconda della situazione.

L'intuizione invece non proviene da fuori di me, come nel caso della percezione di un Essere eterico di un qualche tipo, bensì da me. E' endogena e io la ritengo, più che un'ispirazione da fonte esterna (cosa che a volte comunque mi arriva, per esempio, se chiedo qualcosa all'Angelo Custode), il prodotto di un lavoro rapido della mia mente.

Certo che tutto riguarda comunque, e coinvolge, il cervello inteso come organo, anzi tutto il corpo fisico.

La persona umana è UNA nel suo corpo, mente, anima e spirito, e non ha senso volerla "sezionare" poiché, finché abbiamo vita organica, biologica, siamo sinolo di ciò che è materico e di ciò che è spirituale.

Anzi di più: noi persone umane siamo Esseri spirituali aventi un corpo organico.

Non è corretto, a parer mio, dire che abbiamo un'Anima: meglio dire che siamo Anime: ma con un corpo, per ora. Meglio usare il verbo essere piuttosto che avere quindi. Esprimiamo cioè una condizione di stato, esistenziale, non di possesso".

Grazie per avere letto.